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Anche la città di Piacenza è parte di Emilia 2020, il sistema di promozione territoriale declinato nel segno dell’unicità e dell’esperienza, che a seguito della nomina di Parma quale Capitale italiana della Cultura 2020, riunisce in un unico cartellone le proposte di Piacenza, Reggio Emilia e della città Ducale.

La diocesi ha un ruolo determinante che la vede presente all’interno di un comitato di scopo insieme al Comune di Piacenza, alla Fondazione di Piacenza e Vigevano e alla Camera di Commercio di Piacenza, in linea con il tema “Crocevia di culture”, slogan con cui la città si è candidata nel 2018 al titolo di capitale italiana della cultura.

Tra le iniziative proposte dalla diocesi di Piacenza-Bobbio merita particolare attenzione la valorizzazione dell’ex complesso monastico di San Sisto, la cui storia è indissolubilmente legata a quella di uno straordinario capolavoro di Raffaello, la Madonna Sistina. Nell’anno in cui tutto il Paese celebrerà i 500 anni dalla morte del maestro urbinate, non poteva mancare una mostra virtuale capace di celebrare il quadro che fu commissionato da Giulio II per il monastero benedettino e qui giunse tra il 1512 e il ‘13, quale pala per l’altar maggiore della chiesa. L’opera rimase al centro del coro fino al 1754, anno in cui i monaci, a causa di una grave crisi economica, scelsero di venderla all’elettore di Sassonia, entrando nella collezione della galleria di Dresda. Nel secondo dopoguerra il dipinto fu trafugato e trasferito a Mosca nel 1945, ma fece ritorno nella città tedesca nell’ottobre 1955. La Madonna Sistina è uno dei dipinti più ammirati, citati e studiati da filosofi e poeti. Dostoevskij la menzionò nei Demoni, dove Stepan Trofimovitch è incapace di spiegare la profondità che vede nel dipinto, ma anche in Delitto e castigo e ne 

 

L’Adolescente. A Vasilij Grossman ispirò il racconto della Madonna di Treblinka, dove il volto della Madonna e del bambino dipinti da Raffaello, sono così simili a quei volti di madri e bambini visti all’interno dei campi di concentramento nazisti. Perché quest’opera fu destinata al monastero piacentino? Piacenza, una città piuttosto lontana dai centri della politica e della cultura del tempo! Le ragioni sono da ricercarsi nel suo più probabile committente: Giulio II, al secolo Giuliano Della Rovere (Albisola 1443 – Roma 1513), soprannominato “terribile” dai contemporanei, fu pontefice molto votato alla guerra e alla politica, ma meno alla teologia. Il dono nasceva da ragioni politiche e affettive: da una parte la volontà del papa di ringraziare la città che si era schierata con lui nella vittoriosa guerra per estromettere i francesi dai territori italiani; dall’altra perché la chiesa di San Sisto era per lui luogo d’elezione. Giulio II era infatti il protettore della congregazione di Santa Giustina di Padova, della quale il monastero piacentino faceva parte fin dal 1425. La chiesa custodiva inoltre il sepolcro di santa Barbara, patrona dei Della Rovere e infine era dedicata a san Sisto (papa Sisto II, morto nel 258), da cui aveva tratto nome lo zio benefattore, Sisto IV.

Grazie a questo evento l’ex monastero benedettino aprirà le porte svelando alcuni luoghi oggi non accessibili al pubblico quale il meraviglioso “appartamento dell’abate”, la sagrestia monumentale, il campanile e grazie ad un accordo con i militari della caserma Cantore, il grande chiostro progettato dall’architetto Alessio Tramello.

L’opera sarà raccontata attraverso una molteplicità di letture da quella storico-artistica a quella teologica. La Madonna Sistina è l’unica opera occidentale ad aver conosciuto una devozione da parte del Mondo ortodosso.

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