SANTA MARIA ASSUNTA IN PIACENZA:
CENNI STORICI
Architettura
L’aspetto odierno della Cattedrale di Piacenza, un unicum nel contesto dell’architettura ecclesiastica italiana per particolarità strutturali, è stato determinato dai molti restauri (ultimo quello diretto da Camillo Guidotti nel periodo 1894-1902) che rendono difficile definire le fasi del cantiere medievale, anche per la penuria di documenti.
Ciò nonostante per l’edificio, che sarebbe stato in origine molto simile a come appare, le diverse ipotesi cronologiche e costruttive susseguitesi hanno ritenuto ineludibile una frase in latino posta sulla facciata, che indicherebbe come data di inizio lavori il 1122.
Si è supposta la derivazione da architetture coeve normanne e anglo-normanne (Romanini 1975) per la tecnica del mur épais, ricollegabile a tali lavori; la pratica prevede la parete non come piano chiuso, ma articolazione dello spazio che tramite percorsi in spessore di muro collega i vari piani.
La prima fase di lavori, tra 1122 e 1150 (o 1155-60), riguarderebbe secondo analisi recenti (Bersani 2013) l’erezione della parte absidale-presbiteriale con attacco del transetto, il lato nord con la torre fino a una certa altezza sopra le arcate, la parte bassa della facciata e le prime due campate della navata sud. Il resto sarebbe del 1202-1235 o 1207-1250 (Klein, 1995).
Secondo Quintavalle (2006), il progetto è di Niccolò, che avrebbe ripreso lo schema del Duomo parmense, dove aveva lavorato. La facciata sarebbe dell’artefice (per la progettazione si ipotizza il concorso di Niccolò e Wiligelmo). Tre per lo studioso le fasi costruttive: la prima, tra fine XI e inizio XII secolo, vedrebbe una chiesa già dotata di transetti e la seconda, tra 1120 e 1130, la ristrutturazione dopo il terremoto del 1117 con compimento delle sculture. L’edificio doveva quindi esibire transetto, navata centrale a capriate, navate laterali chiuse da volte a crociera e la parte del coro voltata a botte. A inizio XIII secolo viene datato l’inserimento di elementi gotici: rifacimento delle trifore dei matronei, cambio di copertura nella navata maggiore, tiburio.
LA FACCIATA, IL CAMPANILE E L’ANGELO
Il duomo di Piacenza, senza dubbio uno dei monumenti più importanti del romanico padano, è qualificato dalla rigorosa facciata monocuspidata tripartita verticalmente da due semicolonne, nella quale si aprono tre portali ornati da protiri su due livelli; fino all’altezza di questi ultimi, la superficie muraria è rivestita con marmo rosa di Verona, al di sopra è in pietra arenaria. Il rosone, la galleria sotto la gronda della cuspide e le due mediane al di sopra dei protiri minori alleggeriscono il fronte.
Sul lato sinistro della facciata si innalza la torre campanaria in laterizio, alta 72,5 metri, che insiste sulla prima campata della navatella nord. La parte bassa risale alla prima fase dei lavori, come quella della facciata. Il campanile, a cella quadrifora, fu prolungato all’inizio del XIII secolo e concluso nel 1333. La cuspide è sormontata dalla statua segnavento di una creatura celeste nota come “Angil dal Dom”. La gabbia sotto la cella campanaria, voluta da Ludovico il Moro nel 1495, fungeva da monito per i malfattori di un tempo.
L’IMPIANTO PLANIMETRICO
L’interno, a croce latina, presenta tre navate nel corpo longitudinale e nel transetto. Il presbiterio sopraelevato è ripartito in tre navate con altrettante absidi, di cui la centrale molto più aggettante delle due laterali minori. La suddivisione del presbiterio è data dal prolungamento oltre il transetto delle navate laterali del corpo longitudinale. I fronti nord e sud del transetto si concludono con un’abside aggettante affiancata da due nicchie non visibili all’esterno. La navata maggiore del corpo longitudinale consta di cinque campate (le prime tre con volte esapartite) a ciascuna delle quali ne corrispondono due nelle navate laterali per un totale di dieci campatelle per lato, sormontate da volte a crociera. Sulla quarta campata centrale, punto di incrocio tra il corpo longitudinale e il transetto, si imposta il tiburio ottagonale.
LA CRIPTA MEDIOEVALE
La zona del santuario comprende la cripta a croce greca e viene considerata dalla maggior parte degli studiosi la parte più antica. Si tratta della porzione strutturale più difficile da esaminare a causa di numerosi rifacimenti, gli ultimi durante i restauri citati coordinati dall’architetto Guidotti.
La cripta è caratterizzata da 62 colonnette isolate e 46 incastrate nella parete, concluse da capitelli tutti differenti, con decori antropomorfi, zoomorfi e soprattutto vegetali. L’altare maggiore è dedicato a Santa Giustina, copatrona di Piacenza, di cui si conservano le reliquie; l’altare di sinistra anticamente era consacrato ai Santi Artemio, Candida e Paolina, quello di destra a San Nicola da Bari. Si segnala il dipinto murale raffigurante Gesù Crocifisso fra i Santi Giovanni Battista e Giustina, qui effigiata in veste di badessa col pastorale. Fu commissionato nel 1576 circa da Filippo Schiavi come la pittura a fianco che immortala il prebendario genuflesso ai piedi della Madonna, avvolta in una mandorla di luce fra cherubini e detta “della Concezione”. Tra i numerosi sepolcri presenti nell’ambiente vi è la lastra tombale del vescovo Rangoni (1596-1620), con relativo stemma.
PITTURE MURALI TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
Tra le più antiche vi sono quelle del transetto sinistro, scoperte durante gli interventi voluti da Giovanni Battista Scalabrini (l’urna col corpo del beato si conserva nel transetto destro). Spicca per imponenza il San Cristoforo tra le figure equestri dei Santi Giorgio e Antonino (questo con l’insegna di Piacenza, un dado bianco su fondo rosso); ricondotto alla seconda metà del Duecento, è stato accostato dal Tagliaferri (1964) all’icona di un mosaico bizantino. All’ultimo quarto dello stesso secolo è ascritta la Madonna col Bambino in trono tra i Santi Giovanni Evangelista e Giovanni Battista sul secondo pilastro destro della navata centrale (che ospita anche la Madonna della misericordia del XV secolo venerata come Madonna delle grazie). Si data invece al primo Trecento la lunetta sopra l’accesso alla sacrestia inferiore. Nel transetto destro vi è una pittura collocabile poco oltre la metà del XIV secolo, scoperta nel 1873 da Bernardino Pollinari che l’ha completata nella parte bassa, interrotta dal sepolcro del vescovo Caccia (1355). Mostra Gesù benedicente fra due Sante (probabilmente Caterina d’Alessandria e Margherita d’Antiochia). Una lunetta reca la Madonna in trono col Bambino e Santi, riferita all’ambito di Giovannino de Grassi e alla Lombardia cortese di fine Trecento. Il committente genuflesso dovrebbe essere il vescovo Maineri, protomedico alla corte Visconti. Sul pilastro fra transetto destro e presbiterio vi è un dipinto murale trasferito su tela, l’Ecce homo dalle cui palme fiotti di sangue originano particole eucaristiche. Tra le più “singolari raffigurazioni in territorio italiano del fons vitae”(Loda 1999), è un unicum iconografico in quest’area. Poco distante, il Gesù Crocifisso con Santi e donatore già assegnato al 1515 e a Bartolomeo Bernardi detto Bonone, è stato poi ascritto al primi anni del secolo e a un frescante non esente da influssi fiamminghi.
MAGNIFICENZA NELLA CUPOLA
Alla realizzazione degli splendidi affreschi che dominano la cupola contribuì generosamente il vescovo Giovanni Linati (1620-1627). Le immagini di Davide e Isaia sono di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, che chiamato a dipingere i Profeti nel 1625, morì ultimati i primi due spicchi notevoli per cromia e impianto. Nel 1626 gli subentrò il Guercino, che completò entro il 1627 gli altri sei scomparti della cupola (i profeti Aggeo, Osea, Zaccaria, Ezechiele, Michea, Geremia), le lunette in cui si alternano episodi dell’infanzia di Gesù (Annuncio ai Pastori, Adorazione dei pastori, Presentazione al Tempio e Fuga in Egitto) a otto affascinanti Sibille e il fregio del tamburo, per la parte a grisaille affidato ad aiuti. Nei pennacchi della cupola e negli spazi preludenti alla galleria, tra il 1688 e il 1689 operò il bolognese Marcantonio Franceschini: dei dipinti rimane il Sogno di San Giuseppe esposto nel transetto. Insieme a Giacomo Antonio Boni e Luca Antonio Bistega approntò poi il ciclo per la cappella della Madonna del Popolo, di cui restano l’Immacolata e il Padre Eterno nella volta e allegorie nei peducci. Tra gli altri affreschi, le Storie di San Corrado Confalonieri nella navata sinistra sono del lodigiano Giambattista Galeani (1613), Dottori della Chiesa e Evangelisti nel transetto sinistro si legano alla cultura romana portata dopo il 1576 da Giulio Mazzoni. Tra le tele si citano lo Sposalizio mistico di Santa Caterina e il Beato Paolo Burali di Robert De Longe (fine sec. XVII) entro la cappella del battistero paleocristiano, i Santi vescovi piacentini di Gaetano Callani (1772) e, in controfacciata, San Martino dona il mantello a un povero (1614) di Ludovico Carracci e il Martirio di Sant’Agnese di Giovanni Evangelista Draghi (1680). Un bel Trittico di Serafino de’Serafini (sec. XIV) e il San Girolamo di Guido Reni si conservano nel Museo annesso.
LA DECORAZIONE DI PRESBITERIO E ABSIDE
Tra il 1599 e il 1609 il vescovo Claudio Rangoni promosse il riassetto di presbiterio e coro per adeguarlo alle norme post-tridentine e fu in parte finanziatore dell’impresa decorativa (il suo stemma campeggia negli stucchi alla base dei pennacchi, tracce del perduto apparato plastico) tesa alla glorificazione della Vergine, realizzata tra la primavera del 1605 e il 1609. Per il ciclo pittorico furono chiamati Camillo Procaccini e Ludovico Carracci, i collaboratori di quest’ultimo Lorenzo Garbieri (Bologna, 1580 ca. – 1654) e Giacomo Cavedoni (Sassuolo, 1577 – Bologna, 1660). La sequenza includeva Nascita della Vergine e Annunciazione del Carracci, Visitazione e Discesa dello Spirito Santo del Procaccini (affreschi staccati ora nel palazzo vescovile), la pala absidale col Transito di Maria (ora in controfacciata) affiancata da Sibille e Profeti dello stesso (nel palazzo vescovile); proseguiva coi Funerali della Vergine e Gli Apostoli al sepolcro vuoto del Carracci (tele a Parma in Galleria Nazionale), sostituiti nel 1804 da due dipinti di Gaspare Landi con soggetto analogo. Al di sopra vi erano Davide e Isaia del Carracci (in controfacciata). Completavano l’opera Assunzione e Incoronazione della Vergine lasciate dal Procaccini nel catino absidale e nella vela centrale della volta, le glorie d’angeli (quella di sinistra si deve al Garbieri) e i Predecessori al Limbo delle altre vele introdotte da una magnifica fascia in cui Angeli trionfanti recano simboli mariani, opere di Carracci e aiuti (Longeri 2000). Nelle volte delle cappelle di San Martino e Sant’Alessio ai lati del coro il Procaccini collaborò con il Fiamminghino (Milano, 1577-1668) entro stucchi di Francesco Sala (1608-1610).
IL MEDIOEVO SCULTOREO DELLA CATTEDRALE
La Cattedrale possiede un ricco apparato scultoreo. In facciata, il portale di sinistra reca nell’architrave scene evangeliche (Annunciazione, Visitazione, Natività, Annuncio ai Pastori, Adorazione dei Magi). L’opera è attribuita per lo più a Wiligelmo e collocata all’inizio della prima campagna di lavori (1122). Nell’archivolto spiccano l’Agnus Dei, il Battista e San Giovanni Evangelista. Dei telamoni del protiro, il primo siede su tre leoni, di cui due gli mordono la veste, il secondo su foglie con un serpente che gli afferra la veste. Ponzini (1988) interpreta l’uno come Inferno (dalla liturgia dei defunti), l’altro come Purgatorio. L’architrave destro, ascritto a Niccolò, propone Presentazione al tempio, Fuga in Egitto, Battesimo e Tre tentazioni di Cristo. Sui capitelli vi sono l’Uccisione di Abele e Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso, sulla parte alta degli stipiti le allegorie di Pazienza, Umiltà e Avarizia e, sopra l’archivolto, i profeti Enoch ed Elia (opera del ‘900 di Pier Francesco Astorri). Uno dei telamoni del protiro siede su grifone, l’altro su di un seggio, a gambe incrociate. Il portale centrale è il più manomesso (con leoni stilofori rinascimentali e baldacchino rialzato nel sec. XVI). L’archivolto reca in fascia i simboli dello Zodiaco, tra i più antichi in Occidente, del XII secolo; il ciclo è stato riferito a Niccolò (cui è per lo più ascritto), a scultori wiligelmici e alla Scuola di Piacenza. Mostrerebbe una cosmografia coi segni a sinistra e destra, al centro venti, stelle, sole, luna e mano di Dio. La zona inferiore del portale è assegnata parte a scultori di radice wiligelmica (con dubbi di autenticità per il telamone sinistro), parte a artisti nicoliani (stipiti e archivolto). Ai restauri di Guidotti datano i capitelli della tribuna inferiore, Fede e Speranza del protiro, Carità sotto il timpano e architrave (con scene sacre di Astorri).
LE FORMELLE DEI PARATICI
All’interno, le formelle dei Paratici sulle colonne attestano il contributo dato dalle Corporazioni piacentine di Arti e Mestieri all’erezione delle stesse. I sette rilievi sono stati ricondotti all’officina di Niccolò e ai primi decenni del XII secolo. Sul primo pilastro di sinistra, nella formella dei Carradori, un uomo lavora alla ruota di un carro, sul secondo la formella dei Calzolai ritrae un artigiano che confeziona una scarpa. Il rilievo dei Mercanti di stoffa, sulla prima colonna a destra, mostra due donne che tagliano un tessuto, quello dei Conciatori di pelle sulla colonna seguente un telaio con pelle stesa a essiccare. Sulla colonna del transetto sud, nel rilievo dei Fornai, vi sono tre donne col pane da cuocere. Nel transetto nord spiccano la formella dei Ciabattini, dediti a manufatti umili rispetto ai calzolai, e quella dei Tintori con la figura di VGO TINCTOR. Due formelle isolate su un pilastro del transetto sud raffigurano un uomo e una donna seduti e Il Pellegrino gerosolimitano. Profeti, il Cristo Pantocrator, la Madonna col Bambino e Sante sono scolpiti nelle chiavi di volta della navata centrale.
IL POLITTICO, IL CORO LIGNEO, L’ALTARE DEL CROCIFISSO
Il presbiterio è dominato dal rifulgente polittico eseguito da Antonio Burlengo e Bartolomeo da Groppallo tra 1443 e 1447, autori anche del retablo esistente nella collegiata di Castel San Giovanni commissionato nel 1441 (ultimato per la doratura da Bartolomeo solo nel 1448). La grande ancona, destinata all’altare maggiore del Duomo propone un’architettura complessa su tre ordini di nicchie ospitanti sculture e definita da alti pilastri a guglia; Bartolomeo da Groppallo si occupò di dipingere e dorare profusamente il ricco apparato plastico, sortendo un effetto magniloquente degno della collocazione in una sede tanto prestigiosa. Fra le piccole statue che trovano posto sui tre livelli spiccano, per le dimensioni maggiori e la posizione centrale, l’Assunta, il Redentore e Dio Padre. Sono affiancate da teorie di Santi a figura intera, a tre quarti di figura e a mezzo busto; si tratta di immagini legate alle scelte devozionali della comunità piacentina, a cominciare da quelle di Sant’Antonino e Santa Giustina nell’ordine inferiore. Il coro ospita i pregevoli stalli lignei dovuti a Giovanni Giacomo Genovesi (1466-1471). Un’altra opera degna di nota, a sinistra di chi guarda il presbiterio è l’Altare del Crocifisso (1504), perfetto esemplare marmoreo di arte rinascimentale a Piacenza, firmato e datato da Ambrogio Montevecchi, noto soprattutto per l’attività nel Duomo di Milano. L’Angil dal Dom Sulla cuspide conica del campanile si innalza la statua della creatura celeste nota a tutti i Piacentini come “Angil dal Dom”: la figura dorata, composta da 34 lamine di rame sbalzato fissate da chiodi, è alta 2,75 metri e pesa 104,500 chilogrammi. Ricondotta per quanto riguarda l’ideazione al locale Pietro Vago, svetta sulla città dal 1341, montata su di un perno che le ha consentito nei secoli di girare come una banderuola secondo la direzione del vento. Costituisce pertanto il più antico strumento meteorologico ad uso degli abitanti e dei frequentatori della città.
LA VASCA BATTESIMALE
Nella parte sinistra del transetto si conserva il battistero paleocristiano a vasca in marmo ”cipollino” di Eubea. Fu qui collocato intorno al 1544, proveniente dalla chiesa di S. Giovanni de Domo, distrutta in quell’anno per ordine del card. Marino Grimani Legato Pontificio, per lasciare spazio alla piazza della Cattedrale. Per il prezioso e millenario fonte battesimale, testimone della vita e della storia della Chiesa Piacentina, è stata ipotizzata una datazione tra la fine del IV o degli inizi del V secolo, epoca in cui esplose la vita cristiana a Piacenza nel periodo romano tardoantico.
La vasca monolitica misura cm. 296 x 157, l’altezza esterna è di cm. 98, la profondità di cm. 73.
Abilitato al suo primitivo uso, il battistero è divenuto oggetto di venerazione da parte dei credenti in quanto strumento della nascita della Comunità cristiana di Piacenza e da parte degli studiosi in quanto esemplare fra i più interessanti d’Italia.
Orari apertura cattedrale:
08:30 – 12:30
15:30 – 19:30
sabato apertura con orario continuato grazie al progetto «Aperti per Voi» del Touring Club Italiano
dalle ore 8:30 alle 19:30
Le visite alla Cattedrale sono libere.
Si prega di sospendere le visite turistiche alla Cattedrale durante le celebrazioni liturgiche.
Per visitare museo e cupola, l’accesso dedicato ai visitatori è esterno (giardino di via Prevostura 7) ed è possibile usufruirne secondo gli orari di apertura del museo e tramite biglietto.
Per visite guidate alla Cattedrale rivolgersi al Museo Kronos chiamando il numero 331 460 6435 (numero attivo dalle 10:00 alle 18:00) o scrivendo a cattedralepiacenza@gmail.com.