E’ una delle chiese più interessanti e complesse della città sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista decorativo. Si tratta di un esempio di architettura romanica caratterizzato da una grande torre ottagonale, a lato, invece, vi è un chiostro del tardo Quattrocento. Venne costruita per volere di San Vittore, primo vescovo della città intorno al 350 e venne dedicata a Sant’Antonino, martire ucciso nei pressi di Travo, in Val Trebbia, poi divenuto patrono di Piacenza.
La chiesa fu più volte danneggiata da incursioni barbariche e di conseguenza rimaneggiata. L’edificio, come si presenta oggi, risale all’XI secolo secondo il volere del vescovo Sigifredo. successivamente il lato nord fu arricchito dalla decorazione del portale marmoreo con le sculture del XII secolo, ad attestare il collegamento con la via Francigena e l’apertura verso la città.
La basilica di Sant’Antonino è senza dubbio una delle chiese più interessanti della città dal punti di vista storico, artistico e architettonico. Insigne per struttura e decorazione, accolse i delegati della Lega Lombarda e Federico Barbarossa per i preliminari della Pace di Costanza (1183).
La costruzione della prima chiesa, dedicata al martire Antonino ucciso nei pressi di Travo in Val Trebbia divenuto patrono della città, fu voluta nel IV secolo da San Vittore, primo vescovo di Piacenza.
Come si presenta oggi, l’edificio risale pur se con modifiche all’XI secolo, precisamente sotto l’episcopato del vescovo Sigifredo. L’architettura esemplifica lo stile romanico, caratterizzata dalla imponente torre ottagonale; tra XII e XIV secolo ha subito sistemazioni e la costruzione della Porta del Paradiso nel corpo settentrionale.
Sul lato sud della chiesa, dal 1483 fu avviata la costruzione del mirabile chiostro, qualificato dall’eleganza delle colonne e dei capitelli in pietra scolpita, diversi per foggia e decorazione. Nell’importante Archivio Capitolare della basilica si conserva il documento delle convenzioni fra i fabbricieri e “magistro Bartolomeo Caxalino et magistro Cristofaro Vecchio” per l’opera, restituita alla città in tutta la sua bellezza con il restauro del 2013.
L’antica basilica era dotata di un tetto a capriate in legno che fu sostituito da volte in stile gotico nel 1495. Da segnalare che nel sottotetto rimangono importanti tracce di affreschi medioevali (metà XI secolo).
L’interno è diviso in tre navate da possenti pilastri. Nella navata destra è esposto alla devozione un pregevole gruppo quattrocentesco in terracotta policroma, raffigurante Gesù Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni. Si tratta di un’opera rarissima in quanto a materiali nella nostra area, per la quale è stata proposta una datazione intorno al 1470-1480.
Nella navata principale i superbi intagli barocchi della cantoria, della cassa che incornicia l’organo Lingiardi e del controrgano sono del valsesiano Giovanni Sceti, detto il Romano (1702-1703). Alla sommità della cassa, siedono Sant’Antonino, il giovane patrono di Piacenza, col vessillo e San Vittore, ineludibili per l’attribuzione e la cronologia di altre opere al maestro, che fu assiduamente attivo a Piacenza fra 1687 e 1715. L’opera si distingue per l’apparato scultoreo, il dinamismo delle figure angeliche e il fasto della doratura che ricreano le suggestioni barocche già proposte dall’artista nella cornice che racchiude la copia della Madonna sistina di Raffaello, visibile in San Sisto a Piacenza (1698).
Tra i dipinti si segnalano opere del Cavalier Ferrante e di Giovanni Maria delle Piane detto il Mulinaretto, nel presbiterio affreschi di notevole interesse. I dipinti murali nella volta e nella lunetta del coro sono di Camillo Gavasetti (1624-1628) che lasciò in Sant’Antonino l’impresa più complessa della sua carriera, realizzata fra 1624 e 1628 grazie all’appoggio del cardinale Odoardo Farnese. Le teste giovanili effigiate attestano scambi stilistici col Guercino, attivo nel 1626-1627 nella cupola della Cattedrale.
Da ricordare anche la pala con i Santi Antonino e Vittore e la reliquia della Sacra Spina esposta in coro, di Robert de Longe, cui si devono le quattro grandi tele sulle pareti del santuario, raffiguranti Scene della vita di Sant’Antonino (1693). Emerge la formazione romana del fiammingo attivo a Piacenza e assumono rilevanza emotiva gli effetti luministici.
